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4 settembre

 
Caro cinema, tu...

...mi metti in seria difficoltà.

Io passo la vita a prendere per le orecchie tutti quelli che cadono, anche involontariamente, nei più classici stereotipi etnoculturali.

Li rimbrotto, faccio loro notare che una statistica pura e semplice, ammesso e non concesso che sia vera, non ha valore di verità. Mi getto in mirabili dissertazioni ampollosissime cercando di dimostrare che tutto quello che pensiamo di sapere è molto più dubbio, che in realtà basta girare un po' il mondo che le genti ci sorprendono, dimostrandosi distanti anni luce da quello che siamo abituati a pensare...

Poi arrivo a Venezia e che scopro, guardando i film?

Che in Congo ballano tutti con un eccezionale senso del ritmo.

Che in Svezia le donne sono tutte alte, bionde, barbie e reggono l'alcool come un pirata di Tortuga.

Che in Giappone se quando devi dire qualcosa non strilli come Holly e Benjii sei irrimediabilmente out.

Caro cinema, tu mi vuoi decisamente male.

 

D.K.P.

 

 
Leones

In una sezione Orizzonti 2012 depauperata della propria identità, quella faticosamente rintracciata e plasmata sotto lo scavo operato negli ultimi anni dalla sinergia Muller/Fant, spicca ad inizio seconda settimana di 69^ Mostra un’opera in linea col progetto della passata direzione artistica lidense.

"Leones", dell’argentino Jasmin Lopez, stilizza e prosciuga il percorso di cinque giovani amici all’interno di un bosco.
La progressiva deriva, rigorosamente scandita a passo d’uomo, è demandata all’utilizzo del pianosequenza a focale medio-lunga. Un motore narrativo che viene così accompagnato da una colonna sonora tutta basata sui rumori d’ambiente. Se lo scopo risiede nella (ri)scoperta del sé, l’abbandono di un approccio verticale ed unicamente frontale consente una riflessione vera sul tempo. Attraverso panoramiche a 360° ad essere sfruttato è lo spazio circostante e circolare, che si concretizza in un viaggio più temporale che fisico.

Avanti, indietro. Avanti ancora. "Leones" è film che all’orizzonte/i mira decisamente, a scorgerlo infine dopo aver liberato lo sguardo dalla vegetazione più fitta, laddove la terra davvero finisce.

 

Alberto Gambato

 
Immagini dal festival