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31 agosto

 
"At Any Price", metafora della vita moderna

Tra i film in concorso nella sezione Venezia69, oggi viene presentato al pubblico “At any price” del regista iraniano Ramin Bahrani. Protagonista è un bravissimo Dennis Quaid nei panni di un agricoltore del Midwest americano, che affronta il suo lavoro e la sua vita con un punto di vista tipicamente imprenditoriale: sente la competizione con gli altri proprietari e rivenditori terrieri, suoi colleghi-rivali.

Ma il successo nel lavoro non è lo stesso che ha sul piano familiare: scontento della moglie e del figlio maggiore, tutte le sue aspettative sono rivolte al figlio minore Dean, interpretato da Zac Efron, che spera possa prendere in mano l’attività di famiglia. Dean è ribelle, appassionato di corse automobilistiche, insomma molto diverso dal padre, ma questo non gli eviterà di essere coinvolto nella crisi dell’azienda e della famiglia.

Abbiamo ascoltato i pareri, in sala stampa, del regista e di alcuni interpreti:

Zac Efron: “Lavorare con Ramin è stato molto singolare rispetto ai lavori che faccio di solito: è un regista che cerca di imparare qualcosa da tutto quello che fa e che vede. A questo punto della mia carriera ho la possibilità sia di scegliere che ruolo interpretare, sia di guardare con rispetto e ammirazione ai miei colleghi più anziani e prendere spunto da loro. Con questo ruolo mi sono messo in discussione: Dean in fondo vuole arrivare a capire cos’è il sogno americano, e per farlo è alla continua ricerca di un modo di liberarsi da se stesso”

Ramin Bahrani: “Con questo film ho voluto mostrare la crisi di una famiglia dei giorni nostri, che riflette anche la crisi della società e dell’economia di tutto il mondo. Inoltre, la storia cerca di mostrare fino a che punto può arrivare un genitore per tutelare il futuro del figlio. Tutti i personaggi vivono agli estremi, e per questo motivo subiscono dei continui cambiamenti. Per tutta la durata del film ho voluto dare l’impressione che stesse per succedere qualcosa da un momento all’altro. Voglio ringraziare tutto il cast, in particolare Dennis Quaid, dalla cui esperienza ho imparato molte cose durante i mesi di riprese”.

 

 
Arriva la bufera

No, non è il film di Luchetti.

Qui la bufera si sta avvicinando sul serio, il rischio è che da domani il Movie Garden somigli a New Orleans post Katrina.

Il vantaggio è che comunque Jonathan Demme è già qui, potrebbe risparmiare sui costi del suo prossimo documentario.

 

 
Gli equilibristi

Probabilmente, dire a qualcuno "Come derelitto funzioni alla grande" potrebbe scatenare reazioni quantomeno irritate. Ergo: mai rivolgere una considerazione del genere in faccia a un conoscente...

A meno che non si tratti di Valerio Mastandrea, il cui volto - ci scusi l'ironia il valente interprete romano - caratterizza il film di Ivano De Matteo, "Gli equilibristi", appunto, in maniera efficace, forte, a volte addirittura dolorosa. La discesa agli inferi del fedifrago impiegato Giulio, improvvisamente espulso dal menage familiare a causa di una sua relazione extraconiugale, infatti, vive con intensità proprio sulla ricerca di assoluzione e, soprattutto, opportunità di sopravvivenza, che si fa carne grazie alla fisicità mesta, segnata, incurvata di Mastandrea. Il resto, anche per scelte registiche esplicite, è sullo sfondo. Il punto di vista è vorticosamente risucchiato in un precipizio in cui l'aspetto esistenziale solo un corollario, subordinato, alla pura, sferzante realtà del concreto.

Certo, l'assunto della pellicola è - per il cinema italiano - piuttosto trito, e qualche didascalismo multiculturalista, pur prendendo di primo acchito, forse poteva essere risparmiato, per indugiare in modo più crudo nel cinismo di una realtà in cui ogni azione provoca reazioni a catena insondabili, e spesso tragiche. Ma la scelta, in ultima analisi, è condivisibile: la caduta è stemperata dall'ironia tipicamente capitolina che si respira nella suburra, e resa, soprattutto, universale, empatizzabile, grazie all'ingrediente della dolcezza (concentrato, in gran parte, nella figura della giovane Rosabell Laurenti Sellers, nel film figlia di Giulio) e alla buona qualità della sceneggiatura quando si tratta di descrivere dinamiche umane a rischio.

 
A tutta forza

Secondo giorno effettivo concluso, CinemaGiovani comincia a mostrare i muscoli.

In primis, lo stand: tutto sembra crescere - l'arredamento, la frequentazione, le tecnologie - e questo dà la misura di un'attività arrivata già, in sole 48 ore, praticamente a pieni giri.

In secondo luogo, senza dubbio, l'attività videogiornalistica. Brillante intuizione dello scorso anno, il workshop guidato dal prode Alberto Cozzutto, capace di maneggiare talmente tanti strumenti di ripresa assieme che a guardarlo da lontano pare Gundam, sta calamitando sciami di giovani e desiderosi talenti dei futuri schermi.

E in effetti, a guardare i risultati, non sembra di aver a che fare con un prodotto amatoriale - i volti e la verve sono in linea con la televisione più giovane e briosa, i contenuti, complice l'aura sbarazzina e un pizzico di giocosa incoscienza, decisamente accattivanti, a cominciare dal campionario coreografico sciorinato dai ragazzi al momento registrare i titoli di testa.

Insomma: se già lo scorso anno, come testimoniato dal gradevole best of visto in apertura di manifestazione, l'idea era parsa un successo, questa volta pare definitivamente destinata a spiccare il volo. Prossimo step: la creazione di una vera e propria web tv attiva tutto l'anno. Perché no?

Last but not least, questo secondo giorno ha poi visto anche l'esordio dell'iniziativa ARCA Chill Out. I più vecchi (ehm: i veterani, ok) ricordano con dolce nostalgia il vecchio spazio chill out del Garden - parliamo di... ottant'anni fa? - uno di quei luoghi mistici in cui offrire riposo alle cornee dopo le maratone in sala, al ritmo dilatato di musica lounge (ulteriormente dilatata, ma qui parliamo di dimensione percettiva, dagli spritz). Ecco, un posto del genere non esiste più, la creatività ARCA si è messa  in moto et voilà, ora è lo stand di CinemaGiovani il luogo in per l'happy hour preserale, con tanto di dj contest, sfide all'ultimo disco per riempire lo stand di ritmo & vitalità.

Un ottimo modo di ridarsi la carica prima di tuffarsi in sala, a fare le ore piccole dietro l'ultimo film farsi, o il capolavoro malese di turno.

 

D.K.P.

 
The Iceman

The Iceman, il film del regista Ariel Vromen presentato oggi  al Festival di Venezia parla della storia vera di Richard Kuklinski, la trama, ha una sinossi molto semplice ma allo stesso tempo la scelta del regista di non parlare dei trascorsi della vita del protagonista, che poi si scoprirà essere stati molto burrascosi, rende la visione del film più avvincente ma allo stesso tempo poco comprensibile se non si sta molto attenti a tutti i particolari.

Mi è molto piaciuto, del film, la cura della fotografia, molto azzeccata per le storia: colori sempre molto cupi, continui grigi, presenti dalle scenografie fino ai costumi - nessuno per l’intera durata del film, infatti, indossa mai abiti colorati.

Kulkinski, interpretato da Michael Shannon, perfetto nei panni del famigerato Killer, descritto efficacemente, in modo inquietante, come  persona doppia, un ottimo padre di famiglia al contempo uno spietato sicario.

Un film, piacevole, da guardare con molta attenzione.

 

Marco Marangoni

 
Immagini dal festival