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5 settembre

 
Se lo dici tu!

Da oggi, cominciamo ad aprire gli incredibili archivi ARCA dedicati all'incredibile.

In tutti questi giorni, infatti, abbiamo raccolto perle di saggezza sparse, elargite da autori, giornalisti, giovani Figli della Luce e quant'altro.

Abbiatene tutti e gratificate il vostro spirito con cotanto lirismo...

 

Che cos’è questo amore che ci ama? [T. Malick]

L'importante è che non sia un calesse

Ogni Venezia potrebbe essere l’ultima [Fratello Andrea Socrate Falconi]

L'ottimismo è il profumo della vita


Tu stessa pensavi di essere te [K. Pierini]

Introspezione


La narrazione insegue il film (ma non la raggiunge) [Piera Boccacciaro]

Ho la narrazione che mi sta alle calcagna


Cosa fa la gente quando non viene a Venezia? Figli! [Anonimo]

La sopravvivenza della specie non passa per il Lido


Perché l’opera trascende [Anonimo]

E il pubblico trasale


Piove… ma non preoccupiamoci, noi abbiamo…l’ARCA!!! [Silvia De Marchi]

Come sopravvivere senza?


Con i Righeira l’estate è una dimensione nostalgica, mentre con i Beach Boys è uno stato non terminato, un luogo dell’anima [K. Pierini]

Colpa della crisi di mezza età


L’ARCA ha un sacco di soldi [Zac Efron]

L'ha detto sul serio!


Ma voi siete amiche anche nella vita reale?? [Matteo Dorigo, Fratello Socrate]

Pare abbiano fatto la stessa domanda a Batman e Robin


Il caffè sta a sinistra, le sigarette a destra [Francesco Paolo Cacace]

Bipolarismo vero

 
"Spring Breakers"

Corpi unti di olio solare, natiche in bella mostra, seni che sobbalzano, carni sovraesposte che si aggrovigliano a metà tra un rito carnascialesco spinto oltre le soglie del delirio e una rappresentazione rovesciata di un girone dantesco, in una grande abbuffata che punta dritto alla catastrofe: avrebbero dovuto chiamarlo Disharmony (altroché!), l'ex braccio destro dell'ormai decaduto Larry Clark.

"Spring Breakers", deragliante macchia (iper)cinematografica che sconfina a più riprese nel videoclip più urticante, è un paradosso lungo una novantina di minuti, un grottesco viaggio su quella soglia tagliente che vede gli estremi, yin e yang, del sogno americano, toccarsi e fagocitarsi a vicenda.

Siamo tutti "spring breakers per sempre" - lo spring break è un periodo di vacanza dagli studi noto per i bagordi sfrenati degli alunni in licenza - avventurandoci tra le immagini, grazie a un James Franco irriconoscibile, che sta al suo rapper-pusher come Depp stava a Jack Sparrow, ma senza la derealizzazione del fumettistico, e a una isterica, ma controllata e sapiente, manipolazione della fotografia, vero punto di forza, oltre al black humor e alla capacità di martellare ossessivamente, del film. Che non è un capolavoro, di certo, ma sballa irrimediabilmente, e mirabilmente, partendo dalla base del cranio e diffondendosi ai lobi come un mantra ipnotico.

 

D.K.P.

 
"To the Wonder"

La visione del film di Terrence Malick ha suscitato molte opinioni contrastanti già all’interno della sala: la fine del film infatti è stata accompagnata da segni di approvazione e fischi indignati.

Forse per la poca disponibilità di regista e attori che non si sono presentati in conferenza stampa? O forse per ragioni strettamente inerenti al film? Sicuramente "To the wonder" non è il solito film romantico cui siamo abituati. Il dramma dei personaggi non viene quasi mai espresso attraverso i dialoghi, bensì attraverso l'uso, peraltro sporadico, della voce fuori campo, cui si aggiunge una gestualità molto comunicativa: sono le mani che si toccano, che si sfiorano o che si aggrappano con violenza all’altro ad esprimere il proprio stato d’animo.
Per questo il film può essere facilmente accusato di essere lento o poco scorrevole.

Credo che se si fa attenzione ai dettagli sia possibile goderne ogni istante, poiché racchiudono una simbologia spesso legata ad aspetti concreti, come i colori (la tinta dei vestiti cambia col variare delle relazioni personali): il rosso indossato nel momento di maggiore passione e felicità, il blu e il grigio quando questi lasciano il posto ai vari problemi di coppia che poco a poco esauriscono la passione iniziale. Oltre al tema dell’amore di coppia vi è il dualismo con l’amore di tipo religioso del prete che si interroga sulla propria vocazione e sul perché dell’indifferenza di Dio: in entrambi i casi il sentimento è destinato a fallire.

Personalmente questo film mi ha ricordato l’atmosfera drammatica di "Espiazione" e di "Bright Star", due pellicole cui sono molto legata. Tanto che forse, in parte, la mia opinione su quest'ultimo Malick potrebbe aver subito la sottile influenza di questa analogia.

 

Serena Pompili

 
Altre opinioni su "Fill the Void"

Ritratto di una famiglia in una comunità chassidica, gli ebrei ultra-ortodossi che formano un microcosmo religioso con regole molto rigide e chiuse, "Fill the Void" offre una prospettiva tutta al femminile, a partire dall’occhio che guarda e osserva, quello della regista Rama Burshtein.

Convertita al chassidismo lei stessa, la regista filma quella che sembra una vita imbalsamata in un rituale, giocato sulla vita della protagonista, Shira, che viene spinta dalla madre a sposare il vedovo della sorella, morta di parto, per impedire che l’uomo si risposi in Belgio portando via con sé il neonato, e soddisfare così la volontà della donna di non perdere l’unico nipote. Il film racconta così la crescente violenza psicologica subita da Shira da parte della sua stessa famiglia e della comunità patriarcale cui appartiene malgrado si senta braccata.
Quello che sorprende tuttavia, è lo stile di ripresa oggettivo, freddo, distaccato, molto elegante, che ci presenta le donne filtrate da una mascherina che rende il tutto ovattato e manierato. Effetto voluto, e riuscito, ai fini di un ritratto di grande impatto, che può risultare anche fastidioso, angosciante e autocompiaciuto, perché non emerge mai l’idea che la regista instilli un segnale di critica al mondo che mette in scena, tanto probabilmente l’opera trascende le intenzioni della stessa autrice.

Con una svolta stilistica nel finale, dove si finisce per rasentare le angosce dell'horror: lei vestita da sposa che si dondola in preda ad una crisi di panico, il viso stravolto rigato di lacrime nere di rimmel, lo sposo che entra preceduto da due inquietanti uomini con delle candele in mano, un’ultima claustrofobica inquadratura di lei.

 

 
Immagini dal festival