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3 settembre

 
Piegatori di giornali

Come comincia la giornata in redazione Arca? Sveglia all'alba - o quasi - e subito al Lido allo stand per piegare i giornali e licenziarli per la distribuzione. Non è un lavoro da poco, ma dà le sue soddisfazioni. Dopo aver sudato sui tasti, aver spremuto le meningi durante e dopo le proiezioni, dopo aver intervistato, telefonato, letto cartelle stampa, comunicati, impaginato, revisionato il tutto, eccetera eccetera... insomma, dopo tutto questo, il giornale è pronto. Ma solo quello di oggi, si intende. I redattori di Arca sono già in giro per proiezioni: domattina un nuovo numero dovrà essere pronto.

 

 
"Great Directors", tutti all'ascolto dei maestri

Un film così lo si può vedere solo in un festival. "Great Directors" di Angela Ismailos è un documentario articolato attraverso interviste a dieci maestri del cinema: Bertolucci, Breillat, Cavani, Frears, Haynes, Linklater, Loach, Lynch, Sayles e Varda. Alcuni di noi erano alla proiezione di questa mattina, in Sala Grande, alla presenza della regista e produttrice - biondissima, e alla fine emozionata dagli applausi fino alla classica lacrimuccia - e di alcuni degli intervistati: Todd Haynes (sempre sorridente), John Sayles (sorridente anche lui) e Liliana Cavani (donna rigorosa, ma in questo caso visibilmente molto contenta). Ascoltare le parole di artisti - e in alcuni casi veri e propri maestri del cinema - è quanto di meglio si potrebbe fare durante un festival. Consigliatissimo, anche se la presenza - in video - di Angela Ismailos stessa, a volte fa proprio precipitare il pathos!

 

 
Metropia si', Metropia no!

No, non e' "La terra dei cachi".

Semplicemente, si e' scatenato un dibattito notevole, allo stand, sul film svedese che apriva la Settimana della Critica. Un film strano, animazione cupa e un po' minimal, in computer graphic, per una storia di tinte orwelliane, incentrata su un futuro fosco e asfissiante in cui la terra ha esaurito le sue energie, l'Europa e' un'unico grande agglomerato unito da una maximetropolitana continentale, le multinazionali dei media controllano le persone fin dentro i loro pensieri. Insomma: niente di nuovo, sotto il sole, classico plot cyberpunk. Ma a qualcuno - i piu' fanatici di fantascienza - il film ha lasciato davvero l'amaro in bocca: troppe incongruenze, leggi scientifiche eluse, infrante o semplicemente dimenticate in modo davvero troppo frequente, idee geniali lasciate sullo sfondo senza farle germogliare. E poi un'animazione che forse eccede nella sottrazione, e se e' vero che i modelli fisionomici, cosi' come le scenografie, convincono, le movenze sono cosi' rigide da ricordare non poco, a tratti, la serie "Thunderbirds". Cioe': quelli erano pupazzi! E anche se fosse una scelta stilistica (qualcuno insinua si chiami budget risicato) l'impressione e' quella di trovarsi di fronte a una specie di videogame tecnicamente poco curato. 

Insomma, i fantascienzofili - che poi di solito sono anche fissati con i videogames: insomma, cocktail tragico - sono implacabili nello stroncare la pellicola. D'altronde, pero', altri ragazzi meno legati a questo background hanno apprezzato i viraggi seppia, l'atmosfera plumbea, la capacita' - a loro dire - di coinvolgere nel plot pur senza una storia davvero sorprendente, anche considerando le tante pause e la stasi voluta, meccanica e avvilente, dei corpi. La pancia, quindi, ha recepito piu' che bene il messaggio apocalittico e disperato della pellicola. Insomma: a ben guardare, pare che i motivi che portano le opinioni a divergere siano piu' o meno identici, solo guardati da prospettive totalmente differenti.

Ben vengano, comunque, tali scambi d'opinione (a patto che poi diano ragione a me, ndr)!

 

 

 

 

 
Habemus Videocracy!

Primi arrivi dalla sala dove si svolgeva la (praticamente) unica proiezione del discusso film di Erik Gandini. 

Anche qui: pareri contrastanti, eppure sembrava si dovesse assistere a un plebiscito. Non e' tanto il fatto se Gandini dica o no una cosa accettabile - la liberta' e' la liberta'! - tuttavia pare, a sentire i ragazzi, che il film indulga fin troppo sulla lacerante questione della banalita', del qualunquismo e dell'amoralita' supina in cui sguazza una grossa fetta dell'Italia. Certo: il film scuote, ed esalta alcuni. Altri, invece, rimangono un po' perplessi: "L'Italia non e' solo questo". 

Certo, vedere Lele Mora (L e l e M o r a . . .) che sventola il cellulare rigonfio di inni, slogan e foto fasciste (!) fa un po' scalpore, cosi' come indugiare sull'immagine dell'inaccettabile Fabrizio Corona - totem del male che vince, e se ne vanta. Pero' forse considerare l'Italia come un 'popolo bue' (paradossale, usare questa definizione) che beve, anzi, trangugia tutto cio' che riceve dalla grande fabbrica del consenso catodico, e' un tantinello eccessivo.

O forse no? E non riusciamo ad accettare questa visione solo per orgoglio, per incapacita' di ammirarci nello specchio e scoprirci vuoti, inutili, sporchi brutti e cattivi?

 
Fuori dalla "Strada"
Niente, per tanti la coda - immensa - fuori dalla proiezione di "The Road" in Sala Grande si è risolta in un niente di fatto. Solamente 80 circa i posti dedicati agli accrediti: tutto il resto dei biglietti è stato venduto al pubblico. Viggo Mortensen in sala? Purtroppo un miraggio per moltissimi di noi. E aggiungiamo il caldo infernale della coda: un episodio da dimenticare. Ci rifaremo domani.